Viaggio dentro la crisi del Manchester United

Senza saperlo, Romelu Lukaku è riuscito a rovinare l’ultima partita in carriera di Sir Alex Ferguson. Era il 19 maggio 2013, e il Manchester United affrontava il West Bromwich Albion in un match che sarebbe poi finito in un pirotecnico 5-5, con una tripletta proprio del belga. Erano i Red Devils di Ferdinand, Van Persie e Giggs, una squadra storica che da lì a pochi anni avrebbe appeso gli scarpini al chiodo.
Tutti sapevano che quel giorno stava finendo un’epoca, un ventennio dorato e vincente, in cui lo United era diventato una squadra capace di trionfare sia in campo nazionale, con 13 Premier League e 5 FA Cup, che in campo continentale, con 2 Champions League ad arricchire ancor di più il curriculum di un maestro come Sir Alex Ferguson. Quello che nessuno sospettava è che da lì in poi il Manchester United sarebbe entrato in una spirale negativa che, nonostante i lauti investimenti, pare non avere fine.
Errore di sistema
Secondo Forbes, nel 2019 i Red Devils sono il secondo club più ricco al mondo, con un valore pare a 3.8 miliardi di euro, preceduti solamente dai 4 miliardi del Real Madrid. Con un fatturato che quest’anno ha raggiunto i 795 milioni, lo United incarna perfettamente l’immagine tipica della Premier di questi tempi, ovvero quella di un’oasi di denaro.
Il grande problema è che la famiglia Glazer, proprietaria del club dal 2005, ha scelto di dare priorità ai risultati economici. Le entrate salgono, gli sponsor aumentano di prestigio e di valore: basti pensare che l’accordo con Chevrolet nel 2014-15 porterà in cassa 79 milioni annui fino al 2021-22, mentre quello con Adidas, che si concluderà nel 2025-26, frutta 75 milioni a stagione. Ciononostante, chiudere il bilancio in positivo non vuol dire vincere i trofei che si hanno a disposizione, e cinque coppe negli ultimi sei anni lo dimostrano perfettamente.
A questo si aggiunge il fatto che allo United manca un Director of Football, una figura che in questi anni sta fortemente sostituendo quella del manager all’inglese e che in Italia potrebbe essere paragonando al direttore tecnico: un uomo, che per dirla semplicemente, fa da tramite tra il campo e l’ufficio. I Red Devils, invece, sembrano essere rimasti nel passato, avendo affidato tutte le operazioni ad Ed Woodward, che da buon vicepresidente esecutivo si intende certamente più di bilanci che di trasferimenti.
Troppi soldi, troppi tecnici
Ogni volta che la tua squadra del cuore compra giocatori di prima qualità, la prima sensazione che queste scelte portano in dote è l’entusiasmo, salvo poi mutare in sconforto quando si capisce che determinati calciatori non sono adatti al progetto tecnico della squadra.
Per Moyes, Van Gaal e Mourinho, la storia è sempre stata la stessa. I grandi investimenti fatti durante l’estate si sono rivelate delle delusioni con il passare dei mesi. Di Maria (€78.5 milioni), Depay (€30 milioni) e Fellaini (€32.4 milioni) sono solo tre esempi che spiegano il declino del Manchester United. Il giovane, la stella, e l’uomo di esperienza che dovevano far svoltare lo United hanno finito per essere i simboli di un fallimento conclamato.
Investire tanto non porta sempre a grandi successi, soprattutto se i calciatori vengono acquistati solo per la nomea, e non perché hanno un’utilità all’interno del progetto tecnico. Il caso Sanchez è ancora più emblematico, visto che il cileno è stato comprato nel 2018 da Mourinho a quanto pare solo per fare uno sgarbo al rivale Guardiola.
In un clima così negativo, l’arrivo di Solskjaer nel dicembre dello scorso anno sembrava aver portato una ventata di positività, con la squadra che aveva iniziato a vincere più partite di fila grazie anche ai calciatori che sembravano avere la testa più libera. I primi tre mesi, caratterizzati da 14 vittorie su 17 match di Premier, non erano comunque riusciti a nascondere i problemi una rosa mal assemblata, che nelle settimane successive avevano portato lo United al 6° posto.
Questa stagione, gli arrivi di Maguire, James e Wan-Bissaka non hanno cambiato l’opinione generale nei confronti del Manchester United. Si ha sempre l’idea di una squadra che non abbia in mente un vero progetto sportivo, ma che compri solamente per mostrare la sua forza economica.
Fortunatamente per i Red Devils, il futuro guidato dai vari Greenwood, McTominay, Chong, sembra più che roseo. Nel caso dovesse fallire anche il progetto Solskjaer, lo United saprebbe almeno da che giocatori ripartire. Qualcosa che da queste parti, dove i conti valgono spesso più del campo, è piuttosto una rarità.