More Than An Athlete, parte 3

Esporre le falle di un sistema apparentemente perfetto non è da tutti

I migliori atleti sotto contratto, i migliori slogan, le campagne pubblicitarie perfette, la capacità di essere sempre al passo coi tempi, tanto dal punto di vista sportivo quanto sociale. Un’azienda pionieristica nel settore delle scarpe da corsa, un fondatore illuminato capace di imprimere il suo marchio, lo swoosh, a fuoco sulla tela della pop culture. Se dovessimo inquadrare Nike con un’unica parola, la prima che mi viene in mente sarebbe certamente paradiso. E con paradiso non intendo un luogo incantato dove tutto è armonioso, bensì uno spazio che incoraggia i propri testimonial a essere più che semplici atleti, ad essere sempre attivi socialmente per il bene dell’intera comunità.

Dopo aver sentito queste parole, saltare alle conclusioni diventa immediato. Si potrebbe pensare che alla Nike sia tutto rose e fiori, ma la realtà è che a volte anche le società più entusiasmanti e trasparenti su questo pianeta nascondono dei lati oscuri. Se volete sapere di più rivolgetevi a Mark Zuckerberg, ricordandovi che prima di rispondervi potrebbe chiedervi di ripetere la domanda, con l’unico scopo di prendere tempo per far passare una menzogna come la Verità.

Il caso Salazar

Se chiedete chi è Salazar a qualsiasi ragazza che abbia mai fatto parte del “Nike Oregon Project”, probabilmente vi risponderà che è un allenatore di fama internazionale. Questo è quello che hanno sempre pensato tutti fino a quest’anno, dato che l’ex maratoneta americano non solo ha vinto tre volte la Maratona di New York dal 1980 al 1982, bensì ha anche allenato campioni olimpici come Mo Farah, portati al successo tramite questo programma dedicato alla crescita dei migliori corridori al mondo.

A soli 17 anni, Mary Cain è stata scelta per far parte di questo team Nike. Avendo polverizzato parecchi record negli anni precedenti, la chiamata di Salazar era solo il passo successivo all’interno di una brillante carriera. Quello che doveva essere una sorta di Eden terrestre si è velocemente trasformato in un incubo.

L’idea di Salazar è che tutti i suoi atleti avrebbero dovuto avere un peso ben preciso (51 kg) calcolato scientificamente per permettere ai corridori di registrare tempi sempre migliori. Tutti venivano pesati di fronte ai compagni, e severamente rimproverati nel caso non raggiungessero il peso forma.

Cain ha raccontato la sua vicenda al NY Times, affermando come il suo coach gli avesse suggerito di ricorrere a pillole anticoncezionali per dimagrire maggiormente. Il problema, prosegue la ragazza, é che “questo team Nike era ritenuto il miglior programma di running negli USA” senza però avere né uno psicologo sportivo né un nutrizionista certificato. “Era soltanto un gruppo di persone tutte amiche di Alberto. Quindi, quando andavo da qualcuno per chiedere aiuto, mi dicevano sempre la stessa cosa, cioè ascoltare Alberto. “

All’inizio atleti e atlete credevano ciecamente alle parole di Salazar credendo che quella fosse la strada corretta verso il successo mondiale. Solo che poi si sono accorte che applicando lo stesso regime sia ai ragazzi che alle ragazze, quelle che subiscono gli effetti peggiori sono quest’ultime. Nel caso di Mary Cain, le procedure di Salazar non hanno solamente portato alla rottura di cinque ossa, bensì le hanno caricato sulle spalle un peso psicologico impossibile da sopportare.

“Ho raggiunto un punto in cui ero sulla linea di partenza e avevo già perso la gara prima di iniziare perché nella mia testa tutto ciò a cui stavo pensando non era il tempo che stavo provando ad ottenere, ma il peso che mi era stato imposto in quella mattinata.” Una delle più importanti giovani atlete americane crolla sotto il peso della dittatura Salazar, iniziando a tagliarsi e a pensare al suicidio.

Un punto di non ritorno che convince Mary Cain a decidere di abbandonare i suoi sogni di gloria firmati Nike e tornare a casa dalla sua famiglia. Una scelta obbligata ma lungimirante, dato che nel ottobre 2019 Nike ha messo fine al progetto, dopo che il mese precedente Salazar era stato squalificato per 4 anni con l’accusa di “incitamento al doping”.

Il problema alla base è che finché le performance degli atleti sono le migliori, il palco è loro. Quando queste iniziano a calare, anche di pochissimo, vengono prontamente sostituiti da altre stelle in rampa di lancio.

Funziona così per molti sport, ma per l’atletica in modo particolare. L’importante è trovare la forza di ricaricare le batterie, chiudere determinati capitoli ed iniziarne di nuovi.

Questo, insieme a molto altro, significa essere “more than an athlete”.

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