Patria

La garra charrúa di Godin è il simbolo di un Paese intero

“L’America smisurata gli ha riservato un posticino tra due giganti: Brasile e Argentina. L’asfissia geografica del paesito (176.215 chilometri quadrati) ha sviluppato però un grande orgoglio nella difesa della propria identità”. La frase è di Jorge Valdano, ma potrebbe benissimo essere di Diego Godin, da quest’estate nuovo centrale dell’Inter. Quando Jorge “el Hablador” parla di identità, si sta probabilmente riferendo alla garra tipica uruguaiana, quel modo di essere tipico di un popolo battagliero che ha sempre dovuto dimostrare di meritarsi il suo posto nella Storia, e che alla fine della fiera l’ha fatto eccome. Ma cos’é effettivamente la garra, luogo comune di un’intera patria?

La garra, letteralmente, è l’artiglio che alcuni animali usano per difendersi o attaccare. Nell’epica del calcio moderno, il calciatore che ha la garra dentro di sé non molla mai, é quello che prima di arrendersi sputa sangue, quello che anche se sta girando tutto male sa che arrendersi significherebbe morire, ed é anche per questo che non smette di lottare.

La garra è ciò che rende possibile l’impossibile e non a caso viene associato all’Uruguay, una nazione che con solo 3 milioni d’abitanti ha all’attivo due Mondiali e ha prodotto talenti come Suarez, Cavani e Schiaffino. L’urugayo afferma ciò che li contraddistingue è il fatto di non temere nessuno, anzi, di essere sedotti dal confrontarsi con le grandi potenze, dove puntualmente la Celeste da il meglio di sé riuscendo molte volte a ribaltare i pronostici. La stessa grinta che oggi viene esaltata da ogni tifoso, nel passato era invece vista come un elemento negativo tipico del calcio sudamericano: gli uruguaiani erano etichettati come quelli che “picchiano duro”, quelli “cattivi e abituati a darle più che a riceverle”.

Godin è sicuramente il sinonimo per antonomasia di questa duplice visione, esaltato per il fatto di non arrendersi mai ma contemporaneamente criticato per qualche intervento eccessivamente falloso. Un esempio piuttosto celebre è il fallo con cui José Batista si guadagna contro la Scozia a Messico ’86 il cartellino rosso più veloce della storia della competizione. Un fallo da dietro, sostanzialmente inutile, dove il difensore della Celeste probabilmente non guarda neanche il pallone, ma solo le gambe. Gli scozzesi affermeranno di aver incontrato una squadra totalmente incivile, che disprezza le regole del gioco e della condotta civile. 28 anni più tardi, il popolo italiano dirà lo stesso vedendo Luis Suarez mordere Chiellini durante i Mondiali brasiliani. 

La garra, però, è qualcosa che va decisamente oltre un forte senso di patriottismo. In certi casi esso rappresenta l’immolazione di un uomo al fine di salvare la sua nazione da un momentaneo pericolo, che esso sia in guerra o su un campo rettangolare dal manto verde.Per capire al meglio la situazione, due esempi estrapolati dalla storia possono essere utili. Il primo riguarda Eliseo Alvarez, centrocampista della Celeste che ai Mondiali di Cile 1962, giocò tutto il match con l’URSS con il perone fratturato rischiando di perdere la gamba, salvo poi essere operato l’anno seguente. L’altro aneddoto ha come protagonista Luis Suarez e si svolge a Johannesburg durante la Coppa del Mondo sudafricana. La partita valevole per i quarti é ferma sull’ 1-1 e sta volgendo al termine, quando al 120′ l’attaccante del Barça para il tiro avversario con la mano. Un gesto estremo, un gesto che costa un cartellino rosso, ma é ciò che poi permette all’Uruguay di andare ai rigori, dove poi per la cronaca trionferà grazie a Muslera. 

Che la garra sia tutto questo ne siamo certi, ma sull’origine di questo mitico termine non siamo egualmente sicuri. Quello su cui non abbiamo dubbi è che possa derivare dal periodo pre-Mondiali 1930, dato che all’epoca l’Uruguay veniva da due vittorie Olimpiche consecutive (Anversa 1924 e Amsterdam 1928), e più in generale era considerato una vera macchina da guerra. La federazione nazionale sostiene che si sia originata durante la finale di Copa America del 1935 tra la Celeste e l’Argentina, in un match in cui nonostante la stanchezza e il risultato sfavorevole gli uruguayi erano comunque riusciti ad alzare il trofeo. 

La garra charrúa è questa. Sconfiggere le avversità della vita su un campo da calcio, anche quando tutto sembra girare storto. Simbolo di una nazione situata tra Brasile e Rio de la Plata, simbolo di una gemma preziosa, una pepita benedetta da una concentrazione di talento inversamente proporzionale alle sue dimensioni.

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