L’obiettivo è dichiarato. Vediamo se i rossoneri sono pronti a raggiungerlo

“Il calcio di Giampaolo? Non esiste. Io ho un’idea, poi i calciatori devono realizzarla. Vogliamo provare ad essere qualcosa di riconoscibile, ma il percorso è lungo e difficile. Bisogna fare ancora tanto”. Le parole di Marco Giampaolo alla viglia dell’esordio in International Champions Cup del Milan contro il Bayern danno l’idea di un uomo che antepone lo stile di gioco alle etichette mediatiche, la collettività alle individualità. Il calcio dell’ex tecnico della Sampdoria è sempre stata l’esecuzione di uno spartito corale, in cui ognuno si metteva a disposizione per la buona riuscita degli schemi provati e riprovati in settimana.
Per questo motivo il nuovo allenatore rossonero si è ritenuto soddisfatto della squadra nonostante la sconfitta per 1-0 a Kansas City contro i tedeschi. Al netto delle assenze, tra cui pesavano quelle di Romagnoli e Suso, Giampaolo ha detto di aver avuto parecchi riscontri positivi e che, sebbene serva tempo per assimilare i nuovi principi calcistici, la squadra è sulla strada giusta. Uno dei migliori è stato Theo Hernandez, che pur essendo uscito a metà primo tempo era stato fin lì uno dei migliori. Il terzino francese fa parte della batteria dei nuovi acquisti, ma fortunatamente per i suoi tifosi non è stato e non sarà l’unico. Tirare dei bilanci sul mercato rossonero in questo momento è prematuro, ma guardando i possibili movimenti in entrata e uscita è possibile iniziare a farsi un’idea sul Milan che sta nascendo per capire se quest’anno l’obiettivo Champions sarà finalmente raggiunto.
La continuità come chiave per la rinascita

Per quanto ancora sarà il tesoro del Milan?
Da quando Gianluigi Donnarumma ha messo piede per la prima volta a San Siro il 25 novembre 2016, la dirigenza del Milan già sapeva che trattenere un talento del genere sarebbe stata un’impresa ardua, soprattutto guardando il prestigio internazionale dei rossoneri diminuire di anno in anno. Invece, come a voler smentire i pronostici, i rossoneri sono riusciti a dare una certa continuità nel ruolo di portiere, riuscendo a resistere prima ai tentativi di Raiola e poi a quelli del PSG di portare Gigio lontano da Milanello.
Il portiere campano, dal canto suo, è riuscito nella passata stagione a ricucire completamente il suo rapporto con i tifosi dopo gli errori in un 2017-18 decisamente difficile. L’annata di Donnarumma, nonostante qualche piccola incertezza, si è chiusa in netto crescendo e durante tutto l’anno il n°99 ha dato l’impressione di essere migliorato tecnicamente, nonché di avere più certezze nel gioco con i piedi. C’è da dire che il posto da titolare del giovane estremo difensore non è quasi mai stato in discussione, considerando che Reina era il portiere di coppa.
Pensandoci un attimo si può capire come proprio Reina sia stato importante nel processo di crescita del collega, dato che a Napoli era capace di gestire il possesso palla in maniera egregia. I suoi consigli potrebbero essere utili anche ad Alessandro Plizzari, che dopo un gran Mondiale U20 è tornato a Milano per rimanerci, costringendo Antonio Donnarumma a salutare senza troppi rimpianti. Sarà dura trovare grande spazio per il terzo portiere, ma qualche buona prestazione potrebbe fargli guadagnare credito agli occhi di Giampaolo, che alla Sampdoria non ha avuto nessuna paura a dare ad Audero le chiavi della porta. Se Gigio dovesse ripetere un’altra stagione eccellente come quella appena passata, e il Milan per questioni di bilancio si trovasse costretto a venderlo, sapere di avere un giovane talento pronto a sostituirlo potrebbe rendere la cessione meno dolorosa.
Anche al miglior software servono upgrade

Capitano a 23 anni. Sogno per molti, realtà se sei forte
Resistere alle pressioni esterne è qualcosa a cui i rossoneri sono abituati dalla stagione di esordio di Donnarumma, dato che in quell’anno è arrivato a San Siro anche l’attuale capitano, Alessio Romagnoli. Il prodotto del vivaio Roma era arrivato per 25 milioni di euro su precisa richiesta di Mihajlovic, che lo aveva lanciato nella stagione precedente alla Sampdoria. Il rendimento del ragazzo segretamente laziale è stato sempre piuttosto solido, con poche incertezze o sbavature che hanno convinto la società ad affidargli la fascia all’inizio della scorsa annata. Come ciliegina sulla torta, Romagnoli ha ricevuto la benedizione di tutti, da Gattuso che ha parlato di “cambio di mentalità” a Baresi che l’ha descritto come il più adatto ad indossarla per “qualità mentali e tecniche”.
Il compagno di reparto del 13 rossonero è stato Mateo Musacchio, che in realtà si è ritrovato in quella posizione dopo il prematuro infortunio di Caldara. Musacchio ha tutto sommato convinto, ma in un calcio come quello di Giampaolo dove la qualità nel trattamento del pallone conta eccome, la superficialità in fase di impostazione mostrata lo scorso anno potrebbe condizionarne il giudizio. Se Caldara dovesse tornare in forma velocemente è molto probabile che riesca a prendersi il posto che gli sarebbe spettato già un anno fa. Il fatto di aver giocato poi in un sistema dinamico e basato sull’intensità come quello di Gasperini potrebbe avvantaggiarlo rispetto alla concorrenza, sebbene ci sia una chimica di reparto che necessita di essere costruita da capo.
Il reparto terzini è quello dove probabilmente servono meno riflessioni, soprattutto perché le gerarchie sono stabilite prima dell’inizio della stagione. A destra Calabria parte favorito su Conti grazie alle ottime prestazioni fornite sotto la guida di Gattuso, dove ha mostrato non solo di avere la gamba per saltare l’uomo sulla fascia, bensì anche la tecnica per servire i compagni nel miglior modo possibile. Lo scorso anno il suo posto non è mai stato in discussione anche perché il collega di reparto è rientrato solo nell’ultima parte di stagione e non ha dato impressione di essere in grande condizione. Nonostante ciò, ogni annata è diversa dalla precedente, e se Conti dovesse subito impattare nel migliore dei modi convincendo Giampaolo fin da subito, è molto probabile che lo slot da titolare diverrebbe suo di diritto.
Con l’arrivo di Theo Hernandez la concorrenza sulla fascia sinistra è definitivamente conclusa. Non perché l’ex Real sia il nuovo Maldini, ma perché il suo spessore tecnico è certamente superiore a quello di Rodriguez. Il terzino svizzero, che aveva stupito talmente tanto con la maglia del Wolfsburg da meritarsi l’interesse del Real Madrid, ha avuto la sfortuna di trovarsi in un sistema come quello di Gattuso, dove a un terzino di spinta ne corrispondeva uno piuttosto conservativo, che in questo caso era proprio lui. Se a questo si aggiunge un certo timore di Rodriguez nell’andare oltre la sua “comfort zone”, si ha l’immagine di un giocatore che per un motivo o per un altro è molto meno di quello che potrebbe essere. Chissà che non sia quest’insieme di motivi ad aver convinto la dirigenza a mettere lo svizzero nella lista dei possibili partenti, ma ad essere sinceri avere un calciatore come lui a fare da sostituto non è male: insomma, meglio un giocatore dalla giocata sicura che uno avventato.
Dicevamo all’inizio dello scorso paragrafo di quanto l’arrivo di Hernandez spazzi completamente via la concorrenza. Questo è perché si fa notare per le sue doti atletiche e offensive, e se lo si paragona con Rodriguez su quest’aspetto il confronto non regge. 184 cm per 82 kg, il terzino ex Real ha tra le sue migliori qualità la velocità e la resistenza, due aspetti che gli permettono di reggere i contrasti di chiunque incontri sulla catena di sinistra prima di arrivare sul fondo e crossare. Oltre a resistere agli avversari, il fratello di Lucas (volato in Baviera) ha anche una propensione al dribbling che fa si che riesca a saltare l’uomo sia da fermo che in corsa, prima di alzare la testa e servire il compagno nella maniera migliore possibile.
Nel Milan di Giampaolo, il quale chiede ai suoi terzini di spingere molto e di sovrapporsi parecchio, Theo Hernandez trova un ambiente perfetto per le sue doti. L’unico punto debole è quello delle letture difensive, un aspetto nel quale il francese non riesce ancora eccellere e che potrebbe risultare fatale nel caso gli avversari ripartano rapidamente in contropiede. In ogni caso, il tecnico rossonero ha avuto l’uomo che cercava. Un discorso, quello del prendere i giocatori giusti, che non si limita solo al reparto difensivo ma che coinvolge anche il centrocampo, dove gli acquisti sono stati piuttosto mirati per soddisfare le richieste del tecnico.
Un cantiere con poche certezze

La chiave del successo rossonero passa anche dal Brasile: la storia insegna
Fermandosi un attimo a riflettere sui centrocampi che il Milan ha schierato nel corso degli ultimi anni, l’ultimo davvero degno di nota pare essere quello dell’anno datato 2010-11 dove figuravano gente come Pirlo, Seedorf, Van Bommel, Ambrosini e un Boateng in piena ascesa. L’allenatore era Allegri e quel centrocampo era assieme a Nesta, Thiago Silva e Ibrahimovic l’ossatura e il segreto di quella squadra che chiuderà l’annata con lo Scudetto in tasca. Da quel momento si sono susseguiti molti interpreti che però non sono mai riusciti a dare quella sensazione di fiducia trasmessa dai nomi scritti qualche riga sopra.
Due dei pochi che sono riusciti a contraddistinguersi in mezzo alla massa sono certamente Jack Bonaventura e Lucas Paquetà, che per motivi diversi sono entratati nei cuori dei tifosi rossoneri. Il primo molto probabilmente perché è stata una delle poche fonti di tecnica e qualità a cui il Milan ha potuto attingere nelle ultime stagioni, mentre il secondo per l’intraprendenza e l’elevato tasso tecnico dimostrati nei suoi primi sei mesi in Serie A.
Del brasiliano ha colpito soprattutto il fatto che si sia ambientato fin da subito, dato che ha giocato la Supercoppa contro la Juve poco dopo il suo approdo in Italia. Magie e numeri d’alta scuola a parte, tra cui una bicicletta a Marassi, Paquetà ha strappato applausi anche per la sua presenza in fase difensiva, non scontata per un calciatore in arrivo dal Brasile. Schierato spesso da mezz’ala con Gattuso, quest’anno Giampaolo dovrebbe dargli la libertà di agire da 10, da trequartista dietro le due punte, il ruolo che alla fine pare essere il migliore viste le sue caratteristiche fisiche e tecniche.
Bonaventura, invece, ritorna dopo aver praticamente saltato tutta la scorsa stagione, dato che l’infortunio al ginocchio di novembre l’ha costretto a star fermo 9 mesi. Il tecnico abruzzese ritrova un giocatore che in teoria dovrebbe essere ancora in grado di fare la differenza, grazie ai suoi inserimenti e alla capacità di rendersi pericoloso non appena saltato l’uomo soprattutto se usato da mezz’ala, come dovrebbe essere anche per quest’anno.
Il titolo di questo capitolo sul centrocampo non è casuale, anche perché è davvero il ruolo che maggiormente necessita di cambiamenti. Sliding doors per molti, dunque, a partire da Biglia e Laxalt. Il regista ex Lazio, che doveva essere il faro della mediana rossonera, non è mai riuscito a ripetere le prestazioni offerte in maglia biancoceleste, finendo spesso nel mirino dei tifosi rossoneri. Troppi tempi di gioco persi, troppo lento nel far girare il pallone, poco incisivo nella produzione offensiva della squadra, Biglia non ha mai scaldato i cuori rossoneri a sufficienza per convincere la dirigenza a considerarlo incedibile. Stesso discorso per Laxalt, arrivato come riserva di Rodriguez e finito subito tra i sacrificabili, tanto che lo stesso Gattuso aveva più o meno dichiarato che non era un giocatore degno di vestire la maglia del Milan. Non erano state queste le parole, ma il senso più o meno sì.
Due che invece potrebbero essere ceduti per far cassa, oppure trattenuti per dare comunque qualità alla rosa sono Kessié e Calhanoglu, che da titolari inamovibili si sono trasformati in oggetti da vendere. “Colpa” del gioco di Giampaolo che vuole un centrocampo piuttosto tecnico ad alta intensità, due caratteristiche che contemporaneamente mancano e sono presenti nella coppia ora analizzata. Sembra quasi un paradosso ma il turco è tecnico ma poco aggressivo, mentre l’ivoriano ha la giusta intensità ma è poco lucido sotto porta e nell’ultimo passaggio. A vederla da questo punto di vista quello da escludere sembrerebbe Kessié, dato che Calhanoglu comunque ha la qualità per reggere più che egregiamente nel sistema del tecnico abruzzese, mentre Kessié e i suoi muscoli paiono essere sacrificabili di fronte ad un’offerta di circa 30 milioni. Tutto questo perché il centrocampista ex Leverkusen offre un ventaglio di opzioni maggiore, dato che potrebbe essere impiegato in tre ruoli diversi: come play davanti alla difesa, come mezz’ala (ruolo già ricoperto con Gattuso), oppure come trequartista nel rombo di centrocampo.
Nel caso in cui la società decidesse di tenerlo, Hakan Calhanoglu si troverebbe lo slot di regista quasi sbarrato dall’acquisto più recente del Milan, Ismaël Bennacer. L’algerino in arrivo dall’Empoli è stato il grande protagonista assieme a Mahrez della vittoria dell’Algeria della Coppa d’Africa, dove poi proprio Bennacer è stato premiato come MVP del torneo. Un riconoscimento che rende elogio ad un giocatore che nell’anno della retrocessione dell’Empoli si è contraddistinto per la sua qualità. In Toscana hanno imparato ad apprezzare la sua reattività nel pressing, dato che la scorsa stagione è risultato al primo posto per palloni recuperati (312) e ha vinto di media 2,6 contrasti a partita. Bennacer però non è solo questo, dato che una volta recuperato il pallone ha il passo e l’esplosività per strappare in avanti per venti, trenta metri, ma anche la tecnica per verticalizzare immediatamente, per servire i compagni in profondità. Potrebbe essere molto vicino ad un prototipo di un Torrea 2.0, un calciatore che Giampaolo è riuscito a valorizzare in maniera tale che l’Arsenal ha dovuto pagare 40 milioni di euro alla Sampdoria per portarlo in Premier.
Un altro che potrebbe ben figurare con il nuovo tecnico rossonero è il suo compagno Rade Krunic. Il bosniaco, primo acquisto di questo nuovo Milan, giocherà molto probabilmente da mezz’ala dove potrà sfruttare la sua bravura negli spazzi stretti. Giocatore duttile con grandi capacità di inserimento, sarà un arma pericolosa se in campo assieme a Bonaventura, dato che uno dei due verrà lasciato libero per seguire gli sganciamenti dell’altro.
Ultimo della lista dei centrocampisti, ma non per questo meno importante, è Fabio Borini, che non è un centrocampista bensì un tuttofare, dato che da quando è al Milan ha giocato sia da ala che da terzino. Un buon ripiego, apprezzato soprattutto per il suo costante impegno nonostante sia utilizzato principalmente come “sesto uomo”, per usare un termine mutuato dal quella pallacanestro che pare interessargli parecchio.
Se il centrocampo è un cantiere aperto ed in continua evoluzione, l’attacco non è da meno, dato che gran parte del roster offensivo è dato in partenza e l’unica certezza si chiama Krzysztof Piatek.
Alla ricerca di un partner

Un Pistolero per la Champions
“A Scaroni ho suggerito io il nome di Giampaolo”. Così, il 17 giugno scorso, Silvio Berlusconi dava la sua benedizione al nuovo allenatore del Milan, che si sarebbe presentato da lì a poco. Le sue parole mostrano come l’ex presidente tenga ancora molto ai colori rossoneri, nonostante dica di non guardare più le partite perché non lo soddisfano abbastanza dal punto di vista del gioco. Quest’anno il destino ha voluto che le strade del Milan e del Cavaliere si incrociassero di nuovo, dato che il modulo usato da Giampaolo, il 4-3-1-2, è anche il preferito di Berlusconi. Si torna al trequartista e alle due punte, che dalle parti di San Siro non si vedevano dall’epoca di Ancelotti e dal trio Kakà-Shevchenko-Inzaghi.
Cambiano i tempi, cambiano gli interpreti. I momenti gloriosi, le nottate di Champions sono ormai parte del passato, ma questo non vuol dire che il “Pistolero Piatek” non voglia far tornare il Milan sui palcoscenici dove merita di stare. É solo questione di tempo e di partner giusti, ed è proprio su quest’ultimo aspetto che la dirigenza si sta concentrando e si concentrerà nel mese che manca alla fine del mercato.
Il titolo del capitolo, “Alla ricerca di un partner”, non è casuale, perché lo scenario a cui Piatek si trova davanti ha dell’incredibile. Tutti e quattro i suoi compagni di reparto sono stati messi nella lista dei calciatori da vendere, sebbene ad oggi nessuno sia stato ancora ceduto. Uno in realtà, André Silva, era già stato spedito a Montecarlo, ma poi sono sorte delle complicazioni che ad ora hanno bloccato la trattativa che avrebbe portato nelle casse rossonere 30 milioni di euro. Il portoghese ha sempre reso al di sotto delle aspettative sia in Italia che a Siviglia, ma nonostante ciò Giampaolo aveva assicurato che avrebbe voluto provarlo prima di decidere il suo destino. Quando però nell’affare si è inserito Mendes, la dirigenza ha preferito lasciar fare l’agente ed incassare piuttosto che rischiare di ritrovarselo un anno in panchina, ed è per questo che la seconda chance di André Silva in maglia rossonera non avverrà probabilmente mai.
All’interno della scala del dispiacere, subito dopo il presunto erede di CR7 c’é Samu Castillejo, che ha vestito questi colori storici solo perché il Villareal, nel 2018, non aveva 18 milioni da spendere per l’acquisto di Bacca proprio dal Milan. L’ala spagnola rientra nella categoria dei giocatori fumosi, di quelli che paiono promettere bene salvo poi dimostrare che le energie spese per loro sono state eccessive. Ogni volta che entrava in campo, solo 8 su 31 i match da titolare, Castillejo dava l’idea di quel giocatore che voleva a tutti i costi stupire senza saperlo fare. Colpi di tacco, doppi passi, dribbling inconcludenti facevano tutti parte di un pacchetto che ha comunque portato in dote 4 gol e 2 assist, sempre più di quelli forniti da André Silva in Serie A. Saranno la capigliatura da finto modello, il fisico troppo gracile o le manie di protagonismo, fatto sta che la partenza dello spagnolo dal nostro campionato non fa scattare nemmeno un minimo di dispiacere nei cuori dei tifosi italiani. Un po’ d’ansia in quelli dei dirigenti rossoneri, invece sì, perché trovarsi a dover gestire un calciatore di questo genere non dev’essere per nulla facile.
Salendo ancora nella graduatoria incontriamo due personaggi simili ma diversi come Patrick Cutrone e Jesús Suso. Due che certamente sono diventati pezzi importanti dell’attuale Milan a suon di gol e ottime prestazioni. Analizzando attentamente la situazione si scopre che a dire il vero, la partenza di Suso viene percepita con meno rimpianto e i motivi sono abbastanza semplici da capire.
Suso prima di tutto non è un prodotto delle giovanili bensì è stato acquistato da un’altra squadra, ed è per questo che i tifosi hanno con lui un legame diverso da quello che possono avere con l’attaccante italiano. Inoltre, nonostante le molte volte in cui lo spagnolo ha risolto partite bloccate grazie ai suoi gesti, il fatto di avere uno skillset così monotono ha portato i tifosi rossoneri a spazientirsi spesso con lui. “Colpa” del suo solito movimento a rientrare sul sinistro, che funzionava i primi tempi ma che ora viene quasi subito intercettato dai difensori avversari, i quali ormai sanno come bloccarlo senza problemi. Il terzo e ultimo difetto è la mancanza di rapidità nei contropiedi: Suso è incredibilmente forte nello stretto e nel dribbling, ma quanto si tratta di ripartire velocemente sembra mancargli sempre lo scatto necessario. Accanto a questo ci mettiamo una certa inadattabilità a giocare in sistemi al di fuori del 4-3-3, dove può rientrare a piacimento sul sinistro: nel 3-5-2 di Montella l’ha già dimostrato, ora è compito di Giampaolo non cadere nello stesso tranello.
Il problema di Cutrone, a parte il primo anno di Gattuso, è stato che ha sempre avuto a che fare con colleghi comprati per essere i titolari. Higuain prima e Piatek poi hanno sbarrato la strada ad un ragazzo che è fin da subito entrato nei cuori dei tifosi per la grinta e la voglia di giocare che sprigiona ad ogni partita. 27 gol in 90 partite non rendono giustizia all’impatto di Cutrone sulla galassia Milan, che va oltre il semplice campo. L’attaccante milita da sempre nelle fila rossonere, avendo iniziato a giocare a Milanello all’età di 9 anni per poi proseguire in tutte le categorie fino alla Serie A, e questo va certamente a suo vantaggio agli occhi dei suoi fan. Nonostante ciò, l’arrivo di Giampaolo e l’ovvia scelta del 4-3-1-2 obbliga il Milan a cercare una seconda punta da affiancare a Piatek, e questo esclude in un certo senso dal progetto 4/5 dell’attacco rossonero. Cutrone potrebbe comunque rimanere, ma rischierebbe anche quest’anno di fare da gregario. Per un giovane che vale 25 milioni di euro, soprattutto in ottica Europei 2020, poter disputare una stagione interamente da titolare dovrebbe essere l’obiettivo. A costo di lasciare la casa in cui si è cresciuti, perché talvolta serve prendere anche decisioni di questo tipo per diventare grandi.
Ultimi ma probabilmente più importanti di tutti ci sono Piatek e la probabile seconda punta di quest’anno, quell’Ángel Correa in arrivo da Madrid. Il centravanti polacco potrebbe quindi finalmente avere il partner d’attacco sperato, e l’argentino avrebbe invece la possibilità di giocare nel ruolo che più gli si addice. Si, perché durante i suoi anni sotto Simeone è sempre stato costretto a giocare largo nel 4-4-2 del Cholo, sebbene le sue qualità dicano tutt’altro. L’attitudine al dribbling, la capacità di trovare i compagni davanti alla porta e la velocità da esprimere nei ribaltamenti di fronte sono tutti aspetti che dovrebbero ampiamente soddisfare Giampaolo, che si troverebbe una seconda punta ancora più dinamica di quanto accadeva con Defrel alla Sampdoria. L’unico neo pare essere la quantità di gol che può garantire, dato che ha chiuso l’ultima stagione con 5 gol totali, mentre il massimo in un anno è stato di 8 centri.
8 gol Krzysztof Piatek li ha realizzati nelle prime sei partite lo scorso anno, quando ancora vestiva la maglia del Genoa. Alla fine della stagione sono stati 30 in 42 match, cifre che gli hanno permesso di diventare uno dei migliori “9” del nostro campionato. L’impatto del polacco sul mondo Milan è stato talmente immediato che già nella prima settimana da rossonero aveva siglato una doppietta al Napoli nei quarti di Coppa Italia. Si è caricato la squadra sulle spalle nei momenti più complicati, e grazie ai suoi gol il Milan ha vinto su un campo difficile come quello di Bergamo e ha rischiato di sbancare l’Allianz Stadium. Anche lui ha attraversato un momento difficile, dal 26 febbraio al 2 aprile in cui ha siglato un solo gol in cinque partite, ma è comunque stato l’ancora di salvezza dei rossoneri in molte situazioni.
Per questo motivo, in un gioco come quello di Giampaolo dove i centravanti segnano gol in grandi quantità, il polacco dovrebbe trovarsi a meraviglia soprattutto se si pensa che si troverà ad avere nei paraggi due giocatori tecnici come Paquetà e Correa. L’allenatore abruzzese dovrà lavorare soprattutto sulla fluidità del gioco, un elemento che è enormemente mancato durante la gestione Gattuso, dove la squadra sembrava troppo statica e conservativa tanto che le sue azioni erano spesso bloccate sul nascere. Solo Paquetà, Suso o Calhanoglu fornivano gli spunti per dare imprevedibilità alla manovra: quest’anno servirà un upgrade in questo senso se si vuole raggiungere la Champions.
In realtà, sarebbe meglio sostituire il volere con il dovere. Quello di questa stagione dev’essere un imperativo categorico, perché un’altra annata senza i rossoneri sul palcoscenico continentale più importante è impensabile sia dal punto di vista sportivo che da quello economico.
Tornare a sentire la musica della Champions è solo il primo passo per ritornare grandi.